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martedì 26 luglio 2011

Lavina Scolari e il suo fantasy che riesuma i vecchi miti


Abituati ad elfi, draghi e streghe il fantasy di Lavinia Scolari lascia spiazzati e incuriositi in quanto in una realtà fatta di “Stanze” e di ricordi assopiti emergono miti e leggende ormai dimenticati. Un romanzo originale, breve e impegnativo. GoodMorning l’ha intervistata per voi. 

G.M: "L'uomo dal campanello d'oro" un romanzo fantastico dalle forti tematiche. Non certo un fantasy commerciale come richiede la politica editoriale attuale. È stata solo ingenuità la tua o voglia di cambiare le regole? 

L.S: Né l’una né l’altra, credo, almeno all’inizio. Desideravo scrivere una storia che pur essendo “velata”, indefinita e calata in un’atmosfera di sospensione (elementi che, a mio gusto, rendono un racconto fortemente poetico), si muovesse su un solco profondo, fantastico e mitico, senza necessariamente dover seguire il tracciato del fantasy canonico, che tuttavia amo e non è detto che un giorno non ritorni a scrivere. Ma quella storia, quei frammenti di storie, non erano per un fantasy; che poi si rivelasse un fantastico mitologico, l’ho potuto constatare alla fine della scrittura. Ora, però, mi sento di affermare che il desiderio di “cambiamento”, di spostare l’ago della bilancia verso un certo tipo di fantastico, è più consapevole in me e prevale rispetto all’ingenuità della scrittura estemporanea, che spero comunque di continuare a vivere. Nel “L’uomo dal campanello d’oro” credo l’ingenuità ci sia, sia come difetto da limare, che come sentimento di autenticità. Vorrei mantenere quest’ultimo e tentare di migliorare l’immaturità della prima prova di scrittura. 

G.M: Un romanzo mitologico che non termina in tragedia. Una scelta forte la tua. Necessità di alleggerire la trama o voglia di trasgredire? 

L.S: No, non sono una “trasgressiva a tutti costi”, anzi! Credevo che potesse essere più stridente e meno efficace un finale lugubre, esiziale, da tragedia greca. Ma io non stavo scrivendo una tragedia e ho preferito seguire il modello di quella “eucatastrofe” di cui parla Tolkien, che rovescia i canoni del tragico, vale a dire quel finale positivo che commuove proprio perché arriva quando non c’è più speranza di soluzione. Ma anche nel finale positivo c’è sacrificio e separazione. D’altronde non stavo riscrivendo una porzione di mito specifica cui dovevo fedeltà, bensì stavo mescolando in un gioco di scrittura fantastica alcuni personaggi tratti dal mito, non le loro vicende. Il finale è stato quello che in modo più morbido veniva fuori da quanto accaduto nella storia. Non è atroce, ma non è neppure un mero happy end! Forse è aperto, per mantenere il libro su quel versante di indefinito e sfuggente sul quale ho tentato di costruirlo. 

G.M: Bram Stoker scrisse “Dracula” con uno stile a più voci intessendo la trama attraverso le emozioni e le esperienze di più personaggi. Il tuo è stato il desiderio di emulare un grande o solo una sfida con te stessa? 

L.S: Ho letto e amato “Dracula” di Stoker. Ed è molto interessante che tu mi ci faccia pensare, perché magari nel mio bagaglio culturale ha lavorato anche lui! Consapevolmente, però, mi sono ispirata non a Stoker, ma ad “Itaca per sempre” di Malerba, dove a raccontare la vicenda sono due personaggi: Penelope e Ulisse; e ho tratto spunto da “I Viaggiatori dell’alba” della Nakhjavani, dove la storia si dispiega in diversi racconti legati da un filo conduttore unico. Sul piano della struttura credo che siano stati questi due romanzi a influenzarmi. Ho moltiplicato le voci di Malerba, che erano due, e utilizzato la tecnica dei racconti legati come scatole cinesi, o con fili rossi che si riuniscono solo alla fine. Per quanto riguarda il campo del fantasy, c’è il grande George R. R. Martin che struttura i suoi romanzi in modo tale che i capitoli siano focalizzati su uno dei personaggi, ma quando scrivevo “L’uomo dal campanello d’oro”, non lo tenevo presente come modello, vista la differenza di genere. 

G.M: La tua passione per i miti è legata alla tua terra, alle tue radici o pensi che la Sicilia non ti abbia condizionata? 

L.S: La Sicilia è il mio scenario di riferimento. Non posso pensare a nessun altro paesaggio o a nessun’altra terra se prima non parto da quella che è incisa nella mia esperienza, ovvero dalla mia isola. Col mare ho rinverdito e scoperto un legame davvero intenso, ancestrale, istintivo, e l’ho scoperto dopo essere stata lontana per un po’, non molto, ma tanto a sufficienza per averne nostalgia e desiderio. Il mare è uno dei misteri maggiormente indecifrabili e magici della terra, è perfetto per un romanzo fantastico, è commovente, è magico, è vivo, mostra e nasconde, cambia continuamente, ha tutti i colori del cielo e della terra; e il mare di Sicilia, con le sue storie di mostri e sirene, è ancora più suggestivo e arcano. 

G.M: Non tutti i lettori conoscono i miti e le loro storie. Per alcuni i nomi da te citati non sono altro che ricordi di qualche vecchio cartone animato, per altri solo dei inventati magari proprio da te. Come pensi si approccino questi lettori al tuo romanzo? 

L.S: Ci sono tre possibili chiavi di lettura e modalità di lettura, posto che ogni lettore è libero, qualora lo voglia, di procedere nel modo che gli sembra più opportuno, anche leggendo i capitoli in ordine sparso! 
C’è il lettore che non conosce nessuno di questi miti, e che magari potrà fermarsi su un primo livello di narrazione: leggerà la storia dei ragazzi e di questi personaggi “magici”, magari non cogliendo alcuni riferimenti al mito, ma potendo tuttavia godere della storia nel suo asse portante; questi abbandonerà il libro perché troppo oscuro e pesante da seguire? Forse, oppure non sentirà il peso delle lacune, perché non conoscendo i riferimenti non si accorgerà di essi, ma in qualche modo li assorbirà e in lui germineranno. C’è il lettore che conosce parte di questi miti - o addirittura tutti - che coglierà ogni riferimento letterario e mitologico, ogni livello, ogni segno. Ma il lettore che, devo ammettere, mi scalda il cuore, e mi fa pensare che tutto sommato questa operazione può essere anche utile, è quel lettore che non conoscendo alcuni miti o nessuno di essi, li va a cercare e ne legge la storia. Se con questo mio divertissement posso stimolare una tale curiosità e spingere verso i grandi miti della classicità, allora “L’uomo dal campanello d’oro” ha una sua ragion d’essere, che va oltre l’intrattenimento puro e semplice. Accortami però che i miti erano tanti e i lettori facevano fatica, ho stilato un’appendice mitologica, che si trova nel mio B-File a questo indirizzo: http://archibook.969463.n3.nabble.com/Appendice-ai-miti-classici-del-Romanzo-td2302423.html

G.M: Tra tutti i miti da te descritti uno emerge con una leggerezza soffice: Iride, la messaggera degli dei che scende sulla terra attraverso l’arcobaleno, colei che porta solo buone notizie. Nel tuo romanzo lei è disposta a tutto pur di ripristinare l’ordine. Cosa ti ha condotta a scegliere lei come “coscienza” degli dei? 

L.S: Ti dirò che non c’era un progetto preciso sin dall’inizio, questo aspetto di Iride è venuto fuori come conseguenza di quello che le stavo facendo passare, del carattere e del ruolo che pian piano le stavo affidando. Iride mi faceva pensare all’arcobaleno e alla pioggia, ovviamente, perché ne è la personificazione, ma anche ai colori su una tela. La sofferenza di Edoardo e di Cassandra era tale che qualcuno doveva sentirla, qualcuno che partecipasse della natura, che facesse piangere la natura con loro e per loro. Poi, mi sono resa conto che un messaggero divino, il Messo, poteva essere fronteggiato solo da un’altra messaggera che come lui avesse spazio negli Inferi, e nell’Eneide di Virgilio Iride funge da messaggera agli ordini di Giunone e per suo conto si reca nell’Ade. Era il personaggio “attanziale”, cioè di aiuto, più efficace che ci fosse, capace di svolgere questa funzione anche nel mio libro, varcando la soglia dell’Antro. So che è cara anche a te, e questa è una piacevole combinazione!


Foto l'autrice, Lavina Scolari e la copertina del suo libro. Tutti i diritti riservati.
Caterina Armentano

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